Metodi per sopravvivere

Il libro di Guðrún Eva Mínervudóttir per aprire le prigioni mentali del linguaggio (scritto e dell’anima).
Guðrún Eva Mínervudóttir, Metodi per sopravvivere (Traduzione di Silvia Cosimini, Iperborea, 2022). Foto Chiara Mancinelli.

Guðrún Eva Mínervudóttir, Metodi per sopravvivere (Traduzione di Silvia Cosimini, Iperborea 2022).

Metodi per sopravvivere è stata una lettura diversa dalle solite perché è stata una proposta di lettura di Iperborea, una casa editrice che apprezzo molto per la cura nel fare i libri.

Ho preso appunti per ricordare tutti i particolari della storia e ho usato dei post-it, nonostante mi infastidiscono, per non rovinare con orecchie minime (lo faccio) un libro che mi sembrava prezioso. Perché i libri di Iperborea lo sono, ma questo, in particolar modo, mi sembrava quasi un oggetto di studio.

Non è stata una lettura come le altre e nemmeno il libro si è rivelato quello che pensavo potesse essere dopo aver letto un bellissimo frammento citato ne L’opinione dell’editore .

“Da allora mi sento come un sacco pieno di schegge di vetro. Non sento il bisogno di piangere o di lagnarmi ma mi fa male ogni parola, ogni passo”.

La mente è corsa a due libri che ho amato molto, associando il linguaggio evocativo di Metodi per sopravvivere a quello di Isola e di Crepitio di stelle. Inevitabilmente facevo dei paragoni.

Non me ne rendevo conto, ma mi ero rinchiusa in una prigione mentale. L’ho capito mentre cercavo la “d” di Guðrún tra i caratteri speciali. Appena qualche ora prima avevo letto ne El Cultural la riflessione di uno scrittore che s’intitolava proprio Prisiones mentales.

Secondo Alejandro Gándara, viviamo all’interno di prigioni mentali (del linguaggio, ma non solo) dentro le quali ci sentiamo sicuri. Ma, avvicinandoci a lingue che non seguono il nostro stesso ordine, possiamo vedere dal di fuori la nostra di lingua. Assaporiamo così l’aria nuova che si respira in una libertà riconquistata, anche se a volte fa paura, perché sconosciuta e meno sicura.

I personaggi di Metodi per sopravvivere sono rinchiusi in prigioni di solitudine e tristezza per motivi diversi. Lo raccontano attraverso capitoli che portano il loro nome, introducendo allo stesso tempo il personaggio che verrà, usando metafore poetiche o frasi stringate e dirette per descrivere sé stessi e gli altri (in entrambi i casi le parole arrivano con la stessa carica di stupore).

Guðrún Eva Mínervudóttir tesse la trama con un intreccio che non è quello comune, seguendo un ordine diverso dal solito. Anche i suoi personaggi sembrano all’apparenza delle persone comuni, facilmente incasellabili, invece sono complessi e sfaccettati.

Hanna, Árni, Aron Snær e Borghildur s’incontrano per caso, ma si uniscono perché vedono nel piccolo Aron una tristezza che somiglia alla propria. E così facendo riescono a sincerarsi, a costruire un nuovo legame, guardandosi dentro per poi vedersi da fuori, riconoscendosi.

“Ci scambiammo un’occhiata e per un attimo non fummo quello che eravamo, ma immobili e infiniti come il fondo del mare, o una galassia”.

Metodi per sopravvivere è un libro a cui ho pensato dopo aver girato l’ultima pagina, credendo che si concludesse troppo presto, che il finale non dicesse tutto. Perché è uno di quei libri che non finisce quando le parole scritte si esauriscono: la testa torna ai personaggi, si riflette sul significato della storia, sull’intenzione dell’autrice e sulla propria esperienza personale.

Questo libro mi ha lasciato una meravigliosa sensazione di insicurezza, come quando si esce da una prigione mentale e si respira una nuova libertà.

Leggetelo per essere un po’ più liberi.

Sull’autrice: Guðrún Eva Mínervudóttir è nata a Reykjavík nel 1976. Ha studiato filosofia ed ha debuttato con una raccolta di racconti nel 1998, scrivendo da allora cinque romanzi. Nel 2006 ha ricevuto il Premio DV e, dopo una prima candidatura nel 2000, nel 2012 ha ricevuto il Premio di Letteratura Islandese.

Testo e foto di Chiara Mancinelli

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