
Cercando di augurarci una buona giornata con una colazione a base di snack da un distributore automatico, salutiamo il nostro Motel 6. Con la luce del giorno notiamo esserci anche una piccola piscina, delimitata però da alcuni nastri gialli con delle scritte nere che ne segnalano la chiusura. Ci immedesimiamo subito in un telefilm alla Csi ed allontanandoci, rimaniamo nel dubbio della questione, evitando di porci domande sul possibile accaduto.
La giornata è iniziata in modo strano, ma oggi Bakersfield, alla luce di un caldo sole, è riuscita ad assumere un aspetto decisamente meno desolato della sera prima. Ancora un po’ confuse dal particolare risveglio, ci avviamo per fare rifornimento e la catena di Walmart contribuisce in un attimo a ricreare uno spirito diverso: ad accoglierci è un vero e proprio paese dei balocchi.
Più che un supermercato, l’impressione è quella di essere entrate in un hangar aeroportuale – che definire immenso – credo non riesca a renderne in ogni caso bene le dimensioni. Pertanto, da fervide sostenitrici delle botteghe di quartiere, entriamo in quello spazio immane quasi un po’ intimorite… L’ispezione delle lunghissime corsie e dei prodotti sconosciuti ci fa perdere facilmente il senso dell’orientamento. Senza rendercene conto, l’ennesima dilatazione spazio-tempo dettata da una sorta di trance osservando Pinot grigio venduto in lattina, spaghetti con le polpette già cotti in scatola, bottiglie di Coca Cola da 6 litri e piselli al wasabi, ci fa rimanere “credo” più di un’ora all’interno di quell’universo sconosciuto.


Una volta fuori, la luce del sole ci abbaglia e l’aria fresca quasi ci stordisce, ma in una ritrovata realtà, riusciamo a fare il punto della situazione e finalmente ci muoviamo verso la nostra prossima meta: la Death Valley.
Proseguiamo quindi nel nostro viaggio, addentrandoci nelle aree sempre più rurali e sconosciute della California. Un esempio in cui ci imbattiamo è il Lake Isabella che con la sua omonima cittadina, ci fa scoprire gli unincorporated places – ossia un tipo di località che non ha un’amministrazione legalmente riconosciuta. Sembra che ce ne siano a migliaia di luoghi come questi sparsi per gli States, tanto da contare milioni di persone che vivono in questi sobborghi senza municipalità.

Disperse nella prateria, riempiamo i nostri stomaci con un pranzo del signor Walmart, ammirando un paesaggio quasi lunare, ma dai colori sgargianti che questo bellissimo lago, racchiuso in un angolo di natura, ci regala.
Lungo il tragitto iniziamo a renderci conto che finora abbiamo avuto solo un assaggio degli incredibili panorami che questo paese può offrire. Tutt’ora, a volte, sento la limitatezza del nostro vocabolario per descrivere al meglio gli spazi immensi che si perdono ben oltre l’orizzonte.

Solo la lunghissima lingua d’asfalto dinnanzi a noi, a tratti, riusciva a creare un punto di riferimento concreto delle dimensioni di queste vallate, dove anche dopo ore di guida, non incrociamo né macchine, né altre forme di vita umana.
Il religioso silenzio che avvolge lo spazio attorno, piano piano ha iniziato a farsi strada anche all’interno della nostra piccola macchina. Infatti, in maniera del tutto spontanea, tra me e la mia compagna d’avventure si è venuto a creare un silenzio contemplativo, sempre più profondo e ricco. Entrambe ci ritroviamo completamente immerse nelle emozioni che questi luoghi trasmettono e, assorte nel rispettivo silenzio meditativo, ci rendiamo conto di quanto le parole sarebbero solo servite a sminuire la grandezza di quanto stavamo vivendo.

M’illumino d’immenso davanti a così tanta bellezza e credo che, mai prima d’allora, abbia davvero vissuto e compreso il senso più intimo e profondo di questo verso.
Le sfumature del calar del sole iniziano a farsi strada e la speranza è quella di riuscire a raggiungere per tempo il Zabriskie Point, in modo da goderci il nostro primo tramonto nella Death Valley, ma non riusciamo nell’impresa titanica, la distanza è davvero troppa! Così, cercando di alleggerirci dalle nostre responsabilità, dando un po’ di colpa al signor Walmart e al buco nero che ci ha inghiottito nel suo supermercato, decidiamo di fermare il nostro fedele bolide nel bel mezzo del nulla. E lì in the middle of nowhere sedute a terra come due spettatrici dinnanzi ad un immenso schermo cinematografico, restiamo a goderci quell’incredibile spettacolo in HD.


È già buio quando scavalchiamo nello stato del Nevada in direzione di Beatty e del suo incredibile Atomic Inn: un lodge con diversi riferimenti agli alieni e all’area 51. Una sagoma cartonata dalle dimensioni umane, rappresentante un “tipico” alieno verde, ci accoglie alla reception e una signora dai grandi occhi rotondi e un tono di voce decisamente acuto e sopra le righe, bombardandoci di domande ci accompagna nella nostra dimora. A differenza del preambolo iniziale, l’alloggio ci trasmette subito una bellissima sensazione: sembra di essere arrivate a casa. Nella stanza ci sono due grandi letti matrimoniali e, soprattutto, lo spazio per una bella Yoga-session… che dopo la lunga giornata trascorsa, mi sembra una benedizione divina.
Cercando un luogo dove nutrirci, capitiamo nel nostro primo Casinò. Un imponente sistema d’illuminazione con disposto tutt’attorno palme e altre piante desertiche, catturano già a distanza la nostra attenzione: la gigantesca scritta illumina l’entrata monumentale del Casino Stage Coach.
Qui, la catena di ristoranti/fast-food Denny’s, ci renderà ahimè consapevoli di come la nostra dipendenza da zuccheri sia oramai fuori controllo. Partiamo con le migliori intenzioni, facendo le finte salutiste, ordinando un risotto con le verdure – meravigliandoci di trovarlo nel menù. Ma il paradosso non tarda ad arrivare! Il nostro movente del “vogliamoci bene” crolla clamorosamente alla vista dei dessert che ci girano attorno e finiamo per ordinare un sundae dalle tipiche dimensioni mastodontiche. Deambulando con difficoltà, stordite dal quantitativo di zuccheri immessi nel nostro corpo, chiedendoci se la moquette anni Cinquanta sia davvero in ogni angolo del Casinò, un po’ di senso di colpa ci accompagna… pur coscienti di aver lasciato un piccolo pezzo d’anima dentro quella coppa gelato. Così nella speranza di digerire il tutto, decidiamo di andare a vedere le stelle nel deserto.
Torniamo così per un attimo nel silenzio di qualche ora prima, dove tutto è immobile. Nel buio più profondo, non vediamo nulla attorno a noi, se non che una distesa infinita di piccole lucine che sovrasta le nostre teste. Nel bel mezzo del deserto, dinnanzi a questo dipinto straordinario, vari pensieri attraversano la mia mente, perdendosi nella vastità del cosmo e delle varie costellazioni che cerco di riconoscere. Consapevolizzo a livello interiore di non essere nemmeno l’idea più lontana di un battito di ciglia, tanto piccola e rapida è la nostra esistenza, fatta semplicemente di istanti come questi… che dovremo cercare di portare sempre con noi. La magia della situazione ci avvolge e per un breve istante non ci fa sentire gli undici gradi calati improvvisamente all’arrivo della notte.
Testo e foto di Caterina Salomone