Day 4 – Welcome to Bakersfield! Motto: “At least we’re not Fresno”

Dopo una serata nella vivace gay-friendly Castro – divorando tacos incredibili, assaggiando birre sconosciute in Europa e dove anche le strisce pedonali sono color arcobaleno – la mattina seguente scegliamo di darci la carica giusta per la giornata con un’abbondante colazione in una taverna. Non resistiamo alla tentazione di assaggiare dolci che spediscono la glicemia a valori da ricovero solo osservandoli! Sentiamo già un po’ di nostalgia per questa città, cominciavamo ad orientarci per le vie della folkloristica Little Italy, dove le ragazze del topless bar sotto ‘casa’ e i suoi grandi e grossi bodyguards, oramai ci salutavano come fossimo vecchi amici.

Castro, San Francisco. USA day 4, Caterina Salomone
San Francisco. USA day 4, Caterina Salomone

È domenica mattina e quella che ci si presenta davanti oggi, è una San Francisco molto diversa: le strade sono vuote, c’è un silenzio quasi irreale attorno a noi ed è piacevole camminare sentendo gli uccellini cinguettare allegri sotto un tiepido sole. Pur percependo un po’ di saudade al pensiero di allontanarci da questo luogo così pieno e vivo, allo stesso tempo siamo elettrizzate all’idea di quello che ci aspetterà, iniziando a consapevolizzare il lungo viaggio on the road che stiamo per intraprendere. Ma prima di ciò, non possiamo assolutamente perderci l’opportunità di assistere ad una vera messa Gospel!

Per arrivare alla chiesa metodista Glide Memorial Church ci addentriamo, senza rendercene conto, in una nuova parte della città – forse sconosciuta o volutamente evitata dai turisti in viaggio. Il circondario lentamente cambia, le belle casette non sono più così curate e colorate, i negozi sono visibilmente abbandonati e gli homeless che fin ora apparivano qua e là si fanno molto più presenti.

Vediamo così una zona d’ombra in mezzo a tanto sole, ossia quella parte di America, credo, volontariamente meno visibile. Quell’America incredibilmente povera e disagiata, dove il palpabile divario sociale tra classi è davvero un abisso lacerante come noi non siamo davvero abituati ad avere nelle nostre città. Ci sono molte persone che lentamente spingono dei carrelli della spesa straripanti di cose: cartoni, oggetti, vestiti, scatole… la loro vita sembra essere tutta lì, in quegli ingombranti e pesanti mezzi di fortuna. Assistiamo a degli episodi abbastanza forti, dove capiamo come il crack sia una piaga sociale non da poco conto qui, sostanza davvero alla portata di molti.

Chiesta metodista di Glide, San Francisco (USA day 4, Caterina Salomone)

Un boato di energia ci travolge, accogliendoci dentro al Glide Memorial Church, dove un coro sta intonando a tutta forza This little light of mine mentre tutti sono in piedi, ballando, cantando e battendo le mani a tempo di musica. Questa ventata di freschezza e di positività ci rincuora e ci aiuta ad abbandonare le pesantezze a cui abbiamo assistito fino a poco prima. Le persone attorno a noi sono completamente immerse nel ritmo della melodia ed è impossibile non farsi coinvolgere dalla situazione! 

Siamo in molti ad assistere alla cerimonia, alcuni sono in una sorta di stato di trance, invocando il Signore e approvando rumorosamente le parole del sermone – che intermezza i meravigliosi show del coro – e descrive per lo più storie di individui con una vita piena di difficoltà, accolte e supportate dalla comunità di Glide. Ci sentiamo davvero appagate dopo questa incredibile esperienza, la potenza dei cantanti e delle persone unite da un intento di fratellanza, sono riuscite a nutrirci nel profondo e, avviandoci a recuperare il nostro bolide, ci sentiamo un po’ John Belushi nel film The Blues Brothers con una sorta di “approvazione divina” per il viaggio che stiamo per intraprendere in mezzo al deserto.

Dopo la mini lezione di guida nell’autonoleggio dell’aeroporto di un parcheggiatore molto paziente alla vista di due fanciulle che non hanno mai guidato una macchina con il cambio automatico, ci lanciamo nel traffico delle highway americane, ancora non completamente preparate per le loro sei corsie di marcia e a dei tir che sembrano il Titanic.

Diventiamo matte a comprendere la segnaletica stradale e l’immissione nelle corsie, che in alcuni punti, sono organizzate da una sorta di semaforo che ti “obbliga” a lanciarti nel traffico, invocando l’aiuto del Signore di qualche ora prima. Credo di aver davvero provato l’esperienza di vedere tutta la mia vita scorrere davanti a mo’ di film, quando – non credendo fosse lontanamente possibile – mi sono trovata uno dei famosi transatlantici che si immetteva da una corsia laterale, posta alla sinistra della carreggiata… Il mondo è bello perché vario.

Finalmente il traffico si va dissipando, così come le città e i loro sobborghi infiniti, al loro posto delle immense distese color zafferano cominciano a farsi spazio attorno a noi, disegnando un paesaggio etereo ed aggraziato. Iniziamo ad assaggiare quell’America più caratteristica e genuina, contraddistinta da un paesaggio paglierino dove qua e là spuntano graziose fattorie con animali al pascolo ed accoglienti negozi di ortofrutta portata direttamente dagli agricoltori locali.

Per la prima volta dopo tanti giorni, ci sono delle nuvole all’orizzonte che oggi ci fanno assistere ad un tramonto differente, dove danzando assieme agli ultimi bagliori del sole, creano degli incredibili giochi di luce nelle vallate circostanti trasformandole in enormi tavolozze con un numero incalcolabile di colori e sfumature che armoniosamente ci accompagnano verso la fine di questa lunga giornata.

San Francisco. USA day 4, Caterina Salomone

Siamo in direzione di Bakersfield e al nostro arrivo, nel primo di una serie di economici Motel 6, cerchiamo di orientarci, curiose di conoscere questo luogo ancora cariche dell’energia pulsante di San Francisco.

Lo scenario che ci si presenta però è davvero molto diverso e galvanizzate dall’aspettativa di scoprire chissà quale luogo incantato, sbattiamo clamorosamente con la realtà: tutto è fermo, cristallizzato in una strana dimensione spazio temporale. Il riecheggiare di un lunghissimo treno merci che a passo d’uomo ci scorre davanti è l’unico segno di vita attorno a noi, solo il cadenzare ritmato del cigolio di un cartello metallico leggermente mosso dal vento riesce a spezzare quell’unico rumore che occupa tutto.

All’insegna di un film post apocalittico, proviamo a muoverci alla ricerca di un qualche forma di vita, ma le strade continuano ad essere vuote, solo qualche lampione illumina timidamente un piccolo rettangolo di strada. Veniamo sopraffatte da un faro di speranza, una luce in mezzo alla notte: una grande insegna colorata ci segnala la civiltà che illuminando a giorno questo cubo di cemento bianco, leggermente rialzato dalla strada, appare quasi fosse un imponente cattedrale.

In quel momento il fast food della catena Taco Bell ci appare quasi avessimo trovato la città di El Dorado, dandoci asilo in mezzo ad una landa buia e desolata. Sfamandoci con quello che ricordava vagamente un taco, riusciamo a rallegrarci ripensando all’assurdità della situazione e ubriache di stanchezza non ci facciamo troppi problemi a ridere della giornata, in questo luogo dove alle nove di sera ci siamo solo Roberta, io e una serie di commessi davvero teen, troppo annoiati sugli smartphone per dare bada a due strane foreste.

Mentre scrivevo questo racconto, sono andata a riguardare qualche informazione in merito a Bakersfield e mi ha colpito trovare questo su un sito: Welcome to Bakersfield! Motto: “At least we’re not Fresno”. Scoppio a ridere, consapevolizzandomi sull’esperienza avuta nella “ridente” Fresno, per la quale si potrebbe coniare il motto: “Lasciate ogni speranza voi che… arrivate.”

Testo e foto di Caterina Salomone

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