Day 3 – Mezzi di trasporto
Dopo l’esperienza del latte in polvere, oggi decidiamo di iniziare la giornata con una ricca colazione da Starbucks, provando l’ebbrezza di sederci appositamente dietro le grandi vetrine per osservare il fermento mattutino della città, fantasticando sulla vita delle persone che più o meno di corsa ci sfilano davanti.
Scegliamo di inaugurare i numerosi spostamenti della giornata con un Cable Car, ossia la tradizionale funicolare di San Francisco, divenuta per lo più un mezzo ‘sposta-turisti’ che vogliono godere dell’esperienza di vedere la città da un altro punto di vista. Dopo aver osservato con attenzione le eleganti manovre che i macchinisti diligentemente mettono in atto -scendono dal mezzo per far ruotare il veicolo nell’altra direzione di marcia, spingendolo con un gioco di leve- possiamo salire… ma… siamo le ultime della fila!
Dopo una iniziale “delusione”, comprendiamo invece l’incredibile fortuna avuta: quella di poter stare aggrappate in piedi all’esterno del tram! E così, trepidanti come due che stanno per aprire i regali a Natale, iniziamo il giro, felici di non dover rimanere sedute e ferme come gli altri.

Alla stregua di due pioniere alla scoperta di nuove terre incontaminate, il nostro entusiasmo probabilmente è palpabile, tanto che diverse persone dalla strada iniziano a salutarci dopo il nostro passaggio. Scegliamo il tragitto più lungo, così da poter assaporare appieno l’esperienza: l’aria incessantemente fresca e frizzante ci accompagna, facendoci godere del fascino in movimento della città. Rialzate dal livello della strada tutto scorre in maniera fluida davanti ai nostri occhi, come un bel film dove siamo noi le protagoniste della pellicola.
Arrivate a destinazione ci rechiamo da un rent-a-bike nel panoramico Marina District, dove grazie al consiglio di una cara amica, noleggiamo due biciclette per attraversare il Golden Bridge, il famoso ponte rosso icona della città. Imbocchiamo una pista ciclabile perfettamente attrezzata che costeggia il mare. La giornata è perfetta per un giro come questo: il clima è mite e l’immancabile briosità dell’aria ci aiuta a non sentire, almeno per il momento, il calore e la fatica. Distanziandoci dalla città, finalmente la natura inizia a farsi più presente con spiagge di fine sabbia chiara e sprazzi di tipica vegetazione Chaparral – un tipo di vegetazione sempreverde che cresce in California – coronano il tutto. Il luminoso cielo azzurro e l’intenso blu del mare creano un contrasto incredibile con il famoso ponte rosso che sovrasta la baia, immagine che tutti abbiamo visto almeno una volta, che ora è davvero reale, imponente dinnanzi a noi.
Il ponte è molto trafficato e la corsia per i ciclisti è ben differenziata da coloro che scelgono di attraversarlo a piedi: è incredibile come, pur stando in mezzo a tutto quel via vai, non sento neanche per un istante la pesantezza dello smog e dei gas di scarico. La costa al di là del ponte è molto diversa, a tratti potrebbe sembrare che l’uomo non sia mai sbarcato “dall’altra parte”, dove il versante si tuffa letteralmente nell’oceano non lasciando alcun spazio a spiagge o attracchi, per invadere quel lato apparentemente incontaminato e dominato dagli elementi.
Rientriamo dall’appagante pedalata in direzione del nostro prossimo mezzo di trasporto: il ferry verso l’isola di Alcatraz. Rimango piacevolmente colpita dalla gestione del turismo, tutto è ben organizzato e una volta attraccate sulla famosa isola, le file sono scorrevoli, le guide ci informano su tutto e possiamo usufruire gratuitamente di un’audioguida disponibile in molte lingue.
E pensare che dopo qualche mese avrei visitato Pompei, uno dei siti archeologici più conosciuto al mondo, trovandovi pochissime indicazioni, quasi esclusivamente in italiano, e pagando 10 euro per un’audioguida!
L’isola di Alcatraz è davvero grande e la mente vuole giocare, fantasticando su una possibile via di fuga, immaginando possibili evasioni di qualche ospite del tempo. La terra ferma è lì, appare proprio vicino, ma in realtà non lo è affatto e quel tratto di mare ci dicono essere contraddistinto da gelide e forti correnti, difficilmente gestibili da chi volesse tentare la fortuna attraversandolo a nuoto. Infatti, ben poche evasioni sono andate a “buon fine”. Ad accoglierci troviamo una scritta che dice: “Infrangi le regole e vai in prigione, infrangi le regole della prigione ed andrai ad Alcatraz”, così per mettere subito in chiaro le cose.

L’isola di Alcatraz è davvero grande e la mente vuole giocare, fantasticando su una possibile via di fuga, immaginando possibili evasioni di qualche ospite del tempo.
Le doppie sbarre alle finestre, i lunghi corridoi grigi e le microscopiche celle, trasmettono un vero e proprio senso di oppressione, è la prima volta che entro in un istituto penitenziario e probabilmente l’intenzione che si voleva trasmettere credo fosse proprio quella. Tutto è molto ben spiegato e ci si può immergere facilmente nella quotidianità del carcere, dove alla fine tra personaggi più o meno nominati e conosciuti, anche un Al Capone qui era davvero solo un numero.
Mi rimane impressa la storia di un uomo che per ventidue mesi è stato rinchiuso in una cella d’isolamento, dove viveva per ventiquattro ore al giorno in pochi metri quadri, nella totale oscurità. L’audioguida descrive la storia di una persona che raccontava in quale modo trascorreva le sue giornate lì dentro: si inventò un passatempo che consisteva nel lanciare uno dei bottoni della divisa a caso per la cella e, accucciato nel buio più assoluto, gattonava cercandolo a tastoni. Quando poi lo trovava, ricominciava. E così per giorni, mesi, anni.
Una guida ci ha fatto provare l’ebrezza di stare chiusi nel buio più totale della cella per qualche attimo, è un’esperienza che può far riflettere su diverse cose. È difficile immaginarsi la vita in uno spazio così delimitato, come quello di quest’isola, dove probabilmente più di qualche volta, il carnefice non era solo chi scontava la pena ma anche chi la infliggeva.

Credo possa essere immaginabile il senso di leggerezza e libertà percepiti, una volta tornati all’aria aperta e il senso di claustrofobia è svanito rapidamente una volta salite sul ferry che ci ha riportate a riva. Ad aiutarci in questo processo è stato un altro indescrivibile tramonto. Cullate dalle piccole increspature del mare che fa leggermente dondolare l’imbarcazione, in lontananza possiamo ammirare il Golden Bridge che da questo punto della baia, ha assunto delle colorazioni dorate, grazie al riflesso del sole divenuto infuocato alle sue spalle. Completamente avvolta da tutto questo, mentre lo scintillio del mare riflette degli incredibili colori rosati dipinti tutt’attorno a noi, osservo incantata un bellissimo gabbiamo che ha scelto di accompagnarci in questo tragitto, volteggiando curioso proprio sopra le nostre teste.

Cullate dalle piccole increspature del mare che fa leggermente dondolare l’imbarcazione, in lontananza possiamo ammirare il Golden Bridge che da questo punto della baia, ha assunto delle colorazioni dorate, grazie al riflesso del sole divenuto infuocato alle sue spalle.
La mia attenzione però viene attratta da qualcosa nell’acqua e per la prima volta, ho l’immensa fortuna di vedere due delfini liberi nel loro habitat naturale che, emergendo dalle acque, ci regalano questo momento d’immensa felicità.
Testo e foto di Caterina Salomone