
Day 2 – Sali e scendi
Dopo un profondo sonno in cui la sensazione è quella di aver chiuso gli occhi solamente pochi istanti prima, realizzare di essere a San Francisco ricarica immediatamente le batterie e, illudendoci che gli effetti del jet lag non siano affar nostro, scendiamo per la “colazione”. Mi faccio subito notare dai presenti armeggiando con difficoltà la macchina delle bevande calde e, notando la mia perplessità nel dover mettere del latte in polvere dentro al caffè, incuriosito un ragazzo mi chiede da dove io provenga…
Il cielo terso e un’incredibile aria frizzante mi aiutano a connettere ed inizio a rendermi conto di dove sono: noto subito le classiche casette alla Otto sotto un tetto colorate ed ordinate, mezzi di locomozione incredibilmente grandi e il cibo: una continua, interminabile offerta di cibo di ogni tipo, forma, colore e dalle dimensioni altrettanto oversize.
Per non sentirci subito troppo lontane da casa, ci rechiamo a visitare il Caffè Trieste, perché dopo l’esperienza del latte in polvere, la speranza si accende nel poter trovare magari un simil capo in B! In questo incredibile locale, fermo a 60 anni prima, mi siedo ad un bellissimo tavolino intarsiato e dinnanzi a quello che all’apparenza sembra un cappuccino, mentre il jukebox impalla White Rabbit dei Jefferson Airplane. Ferma in una dimensione spazio-temporale di altri tempi, osservo con un mix di incredulità ed entusiasmo alcune immagini della mia città ed interiorizzo in quell’istante, dopo il primo sorso, che la vacanza non sarà infinita… e che il caffè non è alla fine poi così importante.
Reduci dall’ennesima situazione lisergica in poche ore, grazie anche al fuso orario che collabora facilmente a dissociarsi dalla realtà, decidiamo di proseguire l’esperienza. Scegliamo di girovagare senza una meta troppo precisa ed iniziamo dalle intricate vie di China Town, immergendoci tra ideogrammi, innumerevoli banchetti di alimentari e negozi di oggettistica cinese. Il fascino dell’Asia ci avvolge completamente e perdendo il senso dell’orientamento, ammaliate da questo piccolo grande mondo, senza nemmeno rendercene conto, attraversando una semplice galleria, ci ritroviamo improvvisamente nel Financial District. Il contrasto tra le due realtà è forte, adesso grattacieli e lunghe strade che varcano l’orizzonte ci si parano davanti e il nuovo contesto ci fagocita completamente. Rimaniamo incastrate in un circuito, dove tutte le strade si assomigliano e ci confondono, facendoci ritrovare nel cuore in cardiopalma del centro economico di San Francisco, dove imperversano i grandi brand mondiali, alternandosi però a piccole micro-realtà, soprattutto di cibo healty e vegan o cosiddetto sano.
Ma a noi la Cina ci è rimasta vicina e tra tutte queste offerte davvero apparentemente troppo genuine e non troppo appaganti per i nostri stomaci, scegliamo di dividerci un piatto di bisunti, succulenti e davvero gratificanti noodles, degustando una porzione che avrebbe potuto sfamare un esercito.
Nella speranza di digerire il lauto pasto, con difficoltà decidiamo di muoverci verso gli incredibili sali-scendi tipici della città. Qui il circondario cambia nuovamente e inizio a sentirmi più a mio agio, immersa nella reale quotidianità degli abitanti: strade tranquille e immerse nel verde, dove ritroviamo la cornice delle belle casette, incredibilmente livellate con le ripidissime strade. È bello poter sbirciare dentro le lavanderie a gettoni, nelle quali come nei film, le persone attendono pazientemente che il lavaggio finisca: sono organizzati e leggendo o ascoltando chissà quale musica, piegano diligentemente (o meno) i loro abiti puliti. Mi colpiscono i numerosi e frequentati barbieri che in saloni che ricordano quelli degli anni Cinquanta, con all’esterno i tradizionali cilindri bianchi, rossi e blu girevoli, servono i clienti, prevalentemente giovani dalle folte barbe che sembrano usciti da un dipinto del secolo scorso. Così tra hipster e bugigattoli pieni di strana oggettistica usata ci ritroviamo in cima alla Coit Tower, la quale con i suoi sessanta e più metri, ci fa beneficiare di una vista incredibile della città e dei suoi dintorni. Oltre una distesa ondeggiante di case e strade parallele, iniziamo ad assaggiare alcuni paesaggi della California, tra i quali spiccano noti punti di riferimento come Alcatraz e il Golden Bridge.
Guidate da un’inesauribile energia, proseguiamo il nostro giro, sempre più affascinate dalle particolarità che colorano di un clima tutto suo questa città. Quando i nostri passi ci guidano a Lombard Street, la strada più tortuosa del mondo, abbiamo la sensazione di essere state proiettate all’interno di una cartolina fiorita. Questa volta è l’impatto con i -numerosi, e sbucati fuori da chissà dove- turisti che ci fa mettere in pausa l’armonia creata dalle stradine tranquille e caratteristiche. Rimaniamo in ogni caso colpite dalle numerose macchine, con le più svariate dimensioni e provenienti da tutti gli States che vogliono provare l’ebrezza di rimanere incastrati nelle impervie e scomode curve della famosa strada.
Ma le ore passano in fretta, la sera si avvicina e noi vogliamo ricreare le sensazioni del giorno prima, provando ad emozionarci ancora una volta con un altro indescrivibile tramonto, questa volta però dalla riva di quell’immenso oceano che è il Pacifico. Scendiamo così verso i numerosi Pier, avviandoci verso il numero 39, nel distretto del Fisherman’s Wharf, dove sappiamo esserci uno spettacolo straordinario. Tra innumerevoli venditori di granchi reali e strani personaggi alla Pimp my ride che sfoggiano le loro Cadillac saltellanti, arriviamo al famoso molo e un formidabile concerto di enormi leoni marini ci accoglie. Sono centinaia, pesantemente distesi su delle zattere messe appositamente per loro e sono davvero molto, molto rumorosi. Si azzuffano, amoreggiano, dormono e si tuffano più o meno elegantemente nell’acqua e ogni movimento è perfettamente coordinato ad un suono che trasmette l’emozione di quel momento. Noi non possiamo far altro che rimanere sedute in ascolto, sulle gradinate di legno costruite per poter ammirare tutto questo: il suono del mare in tutte le sue forme, rappresentato da colori intensi, ma delicati al tempo stesso, che anche oggi ci regala dei contrasti ammalianti tra gli elementi dell’aria e dell’acqua. Un altro giorno sta finendo, mentre vediamo il sole scomparire lentamente dietro a questo lenzuolo blu, dinnanzi ad un oceano leggermente increspato dalle onde, miti e delicate che lentamente dondolano le zattere dove questi pachidermi del mare condividono con noi la loro quotidianità, nei pochi metri quadri che delimitano l’immensità di quello che li circonda.
Testo e foto di Caterina Salomone