USA

Day 1 – Very long day travelling

Sono quasi le 21 di una fresca serata di ottobre e io e Roberta ci troviamo davanti alla stazione centrale di Trieste. Stiamo per partire per un viaggio, un lungo viaggio On the road che non possiamo nemmeno immaginare quanto ci riempirà anima e cuore. Gli States ci aspettano.

Ci imbarchiamo nel nostro primo mezzo di trasporto, un’inizialmente vuoto Flixbus ci porterà fino a Milano, un viaggio della speranza… otto ore di continue fermate, dove il sonno non riesce mai ad abbracciarci completamente a causa degli stop, ripartenze, e delle ondate di persone che in continuazione salgono per tutto il Triveneto.

Alle 5 del mattino arriviamo alla nostra prima destinazione… il freddo della notte è pungente e aleggia un’atmosfera quasi irreale. È ancora tutto chiuso, Milano sta ancora dormendo e la città è incredibilmente ferma. Assieme agli altri viaggiatori della notte ci rintaniamo dentro la piccola sala d’attesa della stazione degli autobus, la speranza è quella di riscaldarci un po’ e provare a chiudere gli occhi, in attesa di una delle cose più preziose in quel momento… un caffè! Ma tutti sappiamo di dover attendere pazientemente ancora due ore, prima che il bar apra.

Non riuscendo a dormire, seduta sulla mia valigia con i neon che illuminano a giorno, inizio a guardarmi attorno. C’è un piccolo mondo dentro quella sala d’attesa: chi riesce a dormire russando clamorosamente, pendolari evidentemente abituati ad aspettare le coincidenze a quell’ora, chi organizza cose e passa il tempo con lo smartphone, persone arrivate da altri paesi che muovono silenziosamente l’economia, portando avanti lavori che a noi italiani forse non “piace” più fare, penso… e chi come noi sta aspettando la coincidenza per andare all’aeroporto di Malpensa.

Dopo una tra le colazioni più gratificanti della mia vita, finalmente partiamo alla volta dell’aeroporto, un’alba incredibile ci accompagna, illuminando le cime innevate alle spalle della cosmopolita Milano. Come tante formichine al lavoro, le vie si affollano ad una velocità incredibile… una nuova giornata è ripartita e le aspettative della Milano sempre in movimento sono ripagate. Tutto è nella norma, ora.

Il tempo scorre in maniera irreale nella lunghissima attesa per la partenza del nostro volo, prevista per le 13.30. Ci fa compagnia una ragazza marocchina, Zara, vive in Norvegia e dopo lunghe chiacchierate con il supporto di Google translate, senza nemmeno sapere i nostri nomi ci invita a casa sua, in una cittadina dal nome impronunciabile a sud della lunga Norvegia. Ci aiuta a passare il tempo, coinvolgendoci nella ricerca delle sue valigie “perdute” per l’aeroporto.

Dopo 16 ore di spostamenti, cosa non si fa per spendere poco (!), finalmente il momento tanto agognato è arrivato e in uno stato quasi lisergico saliamo sul grande aereo alla volta della California.

L’ennesimo viaggio senza fine, dove l’unico modo per passare il tempo consiste nel guardare film, mangiare e fare Yoga tra i sedili, provando a risvegliare il corpo anestetizzato da tanti cambiamenti. Incontro Alessio, lo sventurato compagno di “fila” che ad un certo punto ho scelto di occupare, nella speranza di riuscire a stendermi e dormire un po’. È un ricercatore bresciano che vive in America da molti anni, mi dà delle dritte interessanti e mi racconta che è la seconda volta che fa questo viaggio in poche settimane. Mi chiedo come sia sopravvissuto.

In aeroporto, quasi fossimo ancora dentro ad un lungo sogno, ci accolgono un’infinità di bandiere a stelle e strisce, molti controlli e simpatici poliziotti che sorridono cercando di comprendere il mio inglese reduce da 28 ore di viaggio.

L’impatto con l’aria fresca all’uscita è una benedizione, il cielo è cristallino e un’incredibile giornata di sole ci dà il benvenuto nell’affascinante San Francisco.

Il nostro primo incontro è con un signore afroamericano, bassetto, molto agitato e la mia prima impressione è quella di essere stata catapultata dentro ad un western movie per la cadenza con cui parla. Nonostante capiamo meno della metà di quello che ci dice, inizia a guidare il suo shuttle verso il nostro albergo. Durante il tragitto iniziamo a goderci il primo di una lunga serie di incredibili tramonti. È indescrivibile quello che mi trasmettono quei colori: tutto si tinge di ogni possibile sfumatura di rosa, rosso ed arancione. A tratti riesco ad intravedere l’infinita distesa d’acqua dell’immenso Pacifico, apparentemente calmo e di un blu intenso, reso ancora più brillante grazie al contrasto della luce creata dal tramonto. Osservo in lontananza le piccole casette colorate che quotidianamente hanno la fortuna di godere di tutto questo e, in più occasioni, mi chiedo come debba essere vivere lì. In questa cornice, anche una complicata, incasinata ed intasata Highway è riuscita ad assumere un fascino tutto suo.

Dopo gli innumerevoli sali-scendi tipici di San Francisco, il nostro cocchiere venuto dal west ci fa finalmente arrivare al nostro hotel in piena Little Italy. Ci troviamo improvvisamente immerse in un angolo di città molto folkloristico. Luci, colori e suoni ci avvolgono e da subito facciamo “amicizia” con le ragazze di un topless bar affianco al nostro albergo, che ci danno delle utili informazioni su dove andare a mangiare.

Tutto sembra etereo, dormiamo che non sono nemmeno le 21.

Testo e foto di Caterina Salomone

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