
“Qualcos’altro signora? Gente o magari le figurine per i nipoti?”. “No, grazie, solo il giornale. Quanto le devo?”. “Un euro e quaranta signora”. Le piccole dita si tuffano nel borsellino fino a pescare delle monete che quadrano con il conto. Mentre la nonna le tira fuori una per una, le guarda e pronuncia a voce alta il valore, poggiandole sul banco dell’edicola, si ricorda del Natale. “Sembra che tiro fuori i numeri della Tombola!”. Ride col suo fare allegro e il giornalaio la contraccambia con un sorriso bonario. “Ecco, a lei”. “Grazie signora, buona giornata”. “Altrettanto, giovanotto”. Ridacchia ancora sommessamente per quella battuta quando si gira per andarsene. “Arrivederci”, dice all’edicolante e alla signora che stava in fila dietro di lei. La ricambia dall’alto dei suoi tacchi con un sorriso di circostanza, spazientita per l’attesa, nervosa perché ha voglia di fumare e invece deve comprarsi delle gomme. Si capisce che parla al telefono perché i suoi vestiti da donna in carriera non potrebbero appartenere ad una malata di mente che pronuncia a voce alta monosillabi. “Cosa?!”, esclama all’improvviso mentre sta porgendo una moneta da due euro. “Anche da noi?!? Ma come caz… va bene, adesso arrivo”. La nonna è ancora dentro all’edicola, perché dopo l’acquisto deve rimettere il portamonete nella borsetta e il giornale nella borsa di tela dove ci sono il latte e il pane. Si è messa un po’ in disparte per non dare fastidio agli altri clienti. “Aspetti, anche il giornale”, ordina la donna in carriera. “Tutto bene?”, le chiede il giornalaio. “Cosa?”, quella domanda gentile la distoglie dal flusso dei suoi pensieri. “Ah, sì. Be’, è entrato anche da noi. Sto lampionaio…”. Quando riceve in mano il resto dei suoi cinque euro conclude in fretta: “va be’, grazie, arrivederci”. Si ficca in bocca una gomma all’eucalipto mentre con il giornale sotto il braccio sfila via con passo veloce accompagnato dall’eco dei suoi tacchi. La nonna la segue fuori dall’edicola, invece, con la sua andatura calma e un po’ traballante. Ha ancora un sorriso disegnato mentre sta sul marciapiede e guarda in direzione di quella figura snella e corvina che si agita in lontananza.
Passetto dopo passetto, la nonna ha infilato la via di casa, ha aperto il portone dell’edificio che, grande e lungo, la fa sembrare ancora più piccola, e ha risalito con pazienza la rampa di scale che porta al suo appartamento. È ottobre ma fa ancora caldo. Piccole gocce di sudore le imperlano la fronte per la fatica della salita. Nonostante l’età, la sua pelle si mantiene fresca e rosea e non ci sono macchie nemmeno in quelle piccole mani che portano la fede anche se da tanti anni è ormai vedova. “Buongiorno!”, grida una voce. Si gira, anche questa volta oscillando per via della cervicale. “Ah, Matilde! Buongiorno!”, risponde alla sua vicina affacciata alla finestra della casa di fronte. “Tutto bene?”, le chiede. “Sì, sì, e lei?”. “Bene, grazie. Sono andata in bottega”. “Ah, brava. Fa caldo ancora, eh!”. “Eh, sì, guardi”, la nonna lo dice mentre si passa una mano sulla fronte. “Non è normale per essere autunno”, dice Matilde. “Eh, no, per niente”, sottoscrive seria. “Vuol passare più tardi da me? Le ho fatto un presentino per il suo compleanno”. “Oh, mamma mia, grazie!”, esclama la nonna battendo le mani, “non si doveva disturbare”. “Macché disturbo! Viene a vedere la puntata da me?”. “Va bene, va bene”. “A dopo allora”. “A dopo, grazie”. Le due signore si salutano e la nonna attraversa il cortile interno che separa i due edifici, quello di Matilde e il suo. Deve ancora aprire un portone, fare un’altra rampa di scale, aprire la porta del suo appartamentino e, finalmente, sarà a casa. “Oh, eccoci”, dice a voce alta quando è nel suo ingresso. Il corridoio di quel piano terra al riparo dai raggi solari in giornate come queste le regala un po’ di fresco. In altre, invece, sprigiona un’umidità tale che affonda nelle sue ossa di per sé fragili per l’osteoporosi in modo quasi doloroso. Infilate le ciabattine, entra in cucina, distende il giornale sul tavolo, ripone il latte nel frigo e la pagnotta nella credenza. Poi torna nel lungo corridoio per entrare nella camera da letto e togliersi i vestiti. Resta in “combiné” per potersi dare una rinfrescata in bagno. Un altro gradino, un’altra porta. Appoggia sul ripiano accanto allo specchio gli occhiali rotondi che fanno sembrare i suoi occhi castani ancora più grandi e si getta sul viso un po’ di acqua fresca. Inumidisce e insapona una manopola che passa con cura intorno al collo, sul petto e sotto le braccia. Poi si sciacqua ancora con acqua fredda e ripercorre con l’asciugamano il cammino già tracciato. Mentre guarda il suo riflesso sfocato nello specchio, si ricorda, chissà perché, di quando in quella casa non c’era l’acqua calda, e di come sfregava con vigore le pelli delle sue figlie, più per infondere calore che per togliere una sporcizia che non aveva mai avuto tempo di sorgere. Il ricordo che sembra così vivido, viene ricacciato indietro quando inforca gli occhiali e vede il passo degli anni sul suo viso. Quando, infilata la vestaglia, esamina l’orologio della cucina per vedere l’ora, si rende conto che sempre di più gli anni allungano il suo da fare quotidiano. “Sono vecchia ormai”, pensa scrutando il calendario dove un cerchietto a matita circonda un giorno specifico del mese. Era proprio il calendario appeso in cucina che regolava l’andamento dell’economia domestica, poiché su di esso erano indicati i compleanni dei familiari e gli obblighi che gravavano sulla pensione, ridotta quanto lo era la figura della piccola nonna. Nonostante i suoi nipoti fossero ormai adulti, alcuni addirittura con dei figli, la nonna trovava giusto omaggiare il loro compleanno con una bustina sulla quale veniva scritto il nome di ciascuno con la sua calligrafia di una volta. All’interno veniva riposta una banconota che dove essere accettata. Le proteste e le obiezioni non valevano niente, le discussioni venivano chiuse con un risoluto: “Basta. È la tua festa”. La nonna possedeva un grande senso della giustizia, probabilmente perché nella sua vita aveva posseduto ben poco. Si disponeva di quel tanto che bastava, era importante mantenere l’igiene personale e quella della casa, essere educati e rispettosi con gli altri e condividere quello che si aveva. La sua morale era dettata dal buon senso degli umili e degli onesti, insomma. Era una persona estremamente buona, specialmente con i bambini, amava le battute e vedere la gente ballare. La semplicità della sua persona, alla quale aveva contribuito il tempo passato a guardare fuori dalla finestra durante i pochi anni passati a scuola, era bilanciata da quel suo forte senso della giustizia. La piccola signora non tollerava i prepotenti, i farabutti, gli abusi e i torti. “Non è giusto!”, diceva con espressione genuinamente contrariata quando commentava un fatto di questo tipo con qualcuno. E in alcuni casi aveva pronunciato anche qualche parolaccia. Quando invece manteneva uno scontro personale non si permetteva mai di offendere l’altro. Diceva semplicemente: “non si fa così, non è giusto”, esponendo le sue inconfutabili verità. “Gliel’ho chiesto con gentilezza. Sono anziana e faccio fatica”, aveva risposto risoluta una volta che una signora, alzando appena gli occhi dal cellulare, non aveva voluto spostarsi, continuando ad impedirle di aggrapparsi al corrimano della ripida scala che portava alla sua via.
La nonna approvava le azioni del lampionaio proprio per quel suo senso della giustizia. Sapeva che compiva delle infrazioni perché entrava negli edifici senza permesso, ma il fine giustificava i mezzi che adottava, visto che non arrecava danni di nessun tipo. Anzi, faceva esattamente quello che doveva esser fatto. Il lampionaio infatti spegneva le luci. Quella moltitudine di neon, led, lampadine di ogni genere e dimensione che restavano accese negli edifici pubblici e privati quando i lavoratori finivano la propria giornata. Le luci rimaste accese senza motivo venivano esposte come dei prodotti in vetrina nei grandi finestroni di vetro di quegl’imponenti palazzi che brillavano nella notte. Non aveva nessun senso lasciare accesa una luce se nessuno ne aveva bisogno. E così il lampionaio entrava e la spegneva. Ma quell’azione così semplice aveva fatto scaturire le reazioni più disparate. Il primo episodio era avvenuto proprio nella città della nonna, un anno prima circa. Le luci degli uffici vuoti di un enorme palazzo di vetro che brillava come un faro nella notte erano state spente di colpo. I responsabili avevano pensato all’inizio ad un guasto, poi a qualche dipendente visto che i sistemi di allarme non erano scattati. Si trattava di un’importante multinazionale quindi la questione della sicurezza era sommamente importante. Nessuno pensava che la sua intenzione fosse stata quella di spegnere le luci, tutti consideravano che stesse cercando di accedere ad informazioni confidenziali, che fosse interessato a dei documenti in particolare, anche se non si capacitavano sul perché non mancasse niente. Quando stavano mettendo sotto torchio i dipendenti, il lampionaio aveva spento le luci in un altro edificio. Questa volta si trattava di un’impresa di consulenza informatica, ma a Barcellona. Il lampionaio era penetrato nell’edificio alto e stretto che troneggiava sulla Diagonal intorno alle tre del mattino ed aveva spento le luci dei dodici piani di uffici rimaste inutilmente accese. In poco tempo le due notizie erano state messe in relazione e si era finalmente capito che l’intenzione era proprio quella: spegnere le luci. Era trapelata l’immagine di una figura completamente ed anonimamente vestita di nero alla quale i mezzi di comunicazione avevano dato il soprannome di “lampionaio”. Ed il lampionaio, siccome spegneva le luci, era stato definito un ecoterrorista. Ma nessuna organizzazione aveva rivendicato gli atti, nessun comunicato era stato inviato e quella mancanza d’informazioni e il carattere pacifico del lampionaio avevano fatto in modo che si guadagnasse il favore dell’opinione pubblica. Quando, dopo l’azione a Barcellona, l’impresa aveva ripreso l’abitudine di lasciare accese le luci degli uffici di notte, i residenti del quartiere erano scesi in piazza per reclamare che restassero spente. “Si dorme meglio”, aveva affermato una signora. “È inquinamento luminoso!”, aveva aggiunto un ragazzo. “Che risparmino sulla luce e aumentino gli stipendi!”, tuonavano i sindacati. Per non vedere la propria immagine danneggiata e perdere clienti, naturalmente l’azienda si era adeguata, facendo un veloce mea culpa e approfittando abilmente dell’occasione per dichiararsi green friendly e lanciare nuove politiche ecosostenibili. Gli edifici vicini ne avevano copiato il comportamento per non subire la furia della massa che aveva incendiato le reti sociali. Era stato coniato l’hashtag “illampionaio”, i giovani che si manifestavano il venerdì contro il cambio climatico acclamavano di spegnere le luci inutilmente accese, gli esperti intervistati nei Tg internazionali ricordavano l’importanza di un uso responsabile dell’elettricità. Drappelli di persone si erano manifestati davanti ad edifici inutilmente illuminati a giorno in piena notte in varie città del mondo. Azioni simili erano state tentate a Milano e a Lisbona, ma i lampionai erano stati arrestati dalla polizia perché in entrambi i casi avevano fatto saltare l’allarme. Dopo alcune indagini era stato appurato che si trattava di imitatori. L’identità del lampionaio, pertanto, restava avvolta nel mistero.
“Stai leggendo il giornale?”, chiede meravigliata alla nonna una delle sue figlie. “Sì, così, per tenere allenata la testa”. “Brava mamma, hai fatto bene a prenderlo!”, continua la donna mentre ripone la spesa che ha portato in quella cucina che una volta era stata anche sua. La nonna sta seduta ad un capo del tavolo con il giornale steso davanti e segue con il dito il testo dell’articolo che parla del lampionaio. “Hai visto che storia?”. “Eh”, risponde la nonna. “Stamattina, quand’ero in edicola, una signora al telefono ha detto che è stato anche da loro”. “Veramente!”, esclama la figlia. “Così ha detto”, risponde la nonna stringendosi nelle spalle. “Ma pensa!”, considera: “è tornato a colpire dove aveva iniziato. Magari è qualcuno di qua!”. “Chissadio”, osserva la nonna. “Ma mamma stai bene? Parli poco oggi”. “Mah, sono un po’ stanca. Forse non dovevo camminare così tanto”. “Vatti a stendere allora”. “Sì, sì, adesso vado a guardarmi la puntata”. “Ah, certo! Che ha combinato Francisca?”. “Tremenda quella, ma ultimamente vedo solo qualche pezzo, poi mi addormento”. La figlia ride e dandole un bacio sulla guancia aggiunge: “Va bene, adesso vatti a riposare. Ci vediamo venerdì. Ti veniamo a prendere alle 19. Ti ricordi che andiamo a mangiare la pizza perché vengono i ragazzi da Barcellona?”. “Eh, sì, sì, mi ricordo. Ho preparato le bustine”. “Mamma, sai che non vogliono”. “Eh vabbè, non li vedo mai”. “Ma se li hai visti per il matrimonio qualche mese fa?”. “E dai, insomma! Ho preso una cosina per la bimba”. La nonna ride compiaciuta: “è così bella cicciona!”. “Eh sì, iniziano a fare fatica a portarla in braccio. Vabbè mamma vado, ok? Ci sentiamo, ciao!”. “Ciao, cara, ciao”. La nonna aspetta in silenzio di sentire il portone chiudersi, poi attende lo scalpiccio della figlia nel cortile e giù per le scale. Quando la finestra aperta le fa arrivare il suono lontano dell’altro portone, allora tira un sospiro di sollievo. Getta un’occhiata all’orologio e considera che ha ancora a disposizione un po’ di tempo prima di dover andare da Matilde: può finire di leggere l’articolo sul lampionaio. Con il ditino che accompagna ogni riga, piano piano capisce che il fenomeno di spegnere le luci è diventato globale. Quella pratica così normale, dettata dal buon senso e perpetuata lungo tutta la sua vita per non spendere oltre il necessario, è stata riscoperta alla luce di un cambio climatico contro il quale vengono recuperati antichi riti dimenticati. Adesso sono gli influencer, i blogger, i guru mediatici a farsi portavoce di quello che una volta era urlato dentro casa: “spegni la luce che non serve!”. Ma adesso fa più caldo più a lungo, piove di più e tanto più forte, ci sono gli uragani, abbiamo microplastica che circola nel corpo. “E che mondo ti lascio?”, aveva pensato la nonna quando aveva visto il musetto paffuto della sua ultima bisnipote.
“Ma c’è ancora gente che lavora a quest’ora?”, aveva chiesto ai suoi nipoti una sera che tornavano in macchina da una serata in pizzeria. “No, nonna, là è dove lavoro io. Gli ultimi vanno via alle otto”. “E perché ci sono ancora tutte quelle luci accese?”, aveva chiesto la nonna semplice. “Mah, non so, le lasciano sempre accese”. “Ma non ha scopo”. “No… veramente, no”. “E poi inquina”, aveva aggiunto un’altra delle sue nipoti. “Ah!”, aveva esclamato lei. Ed aveva seguito la spiegazione allargando gli occhi, piegando la testa, scuotendola. “Non è giusto!”, aveva concluso alla fine. Dal sedile dietro, stretta dalla cintura di sicurezza, così piccola che da fuori la sua figura non veniva nemmeno scorta, aveva sentenziato a voce alta: “Andiamo a spegnere le luci!”. I nipoti si erano messi a ridere ed avevano preso in giro la nonna con affetto. Ma quel pensiero, quell’azione così normale che lei aveva suggerito non accennava ad abbandonarli. Una sera a cena insieme a casa della piccola signora, la cugina che lavorava proprio in quell’edificio aveva dato voce a quel pensiero: “e se lo facciamo?”. Tra una cucchiaiata e l’altra di tiramisù avevano elaborato il piano. Semplice, niente di che: fare finta di andare via, nascondersi, spegnere le luci, dormire, far finta di arrivare il giorno dopo. I dettagli tecnici (passare la tessera per uscire, video ecc.) si risolsero altrettanto facilmente. “E se ci prendono?”, aveva azzardato qualcuno. “Dite che vi ho obbligato io”, aveva concluso la nonna. Ed era stato così che il lampionaio aveva colpito per la prima volta. Quando i sospetti avevano iniziato a centrarsi sui dipendenti, un altro nipote che viveva a Barcellona aveva spento le luci sul suo posto di lavoro. I barcellonesi, inclini da sempre a mobilitarsi con facilità, avevano contribuito a muovere quell’opinione pubblica che poi, a livello globale, li aveva appoggiati. Poi la campagna era diventata di tutti, le azioni si erano ripetute da sole e il lampionaio era diventato una figura mondialmente conosciuta di cui tutti si facevano portavoce. Perché, in fondo, non aveva mai parlato. Per evitare quindi che il messaggio venisse alterato, avevano colpito di nuovo lì, nella loro città.
È l’ora, deve andare da Matilde per vedere la telenovela. Si alza dalla sedia e si rimette in piedi un po’ a fatica. “Oh, issa!”, si dice a voce alta per darsi coraggio. Percorre con passo traballante il corridoio fino alla porta d’entrata. Prende le chiavi, apre la porta e la richiude dietro di sé. “Buona sera signora”, la saluta la ragazza del terzo piano. “Oh cara, buona sera!”, la ricambia. “Come sta? Tutto bene?”. “Sì, grazie. Vado a vedere la puntata con Matilde”. “Brave, fate bene! Mi raccomando, non vi addormentate eh?”. “Hehe”, ridacchia la nonna scendendo le scale. “Arrivederci”. “Arrivederci cara”. La piccola figura entra nel cortile, scende le scale e si dirige verso il portone della sua amica. Suona tre volte il campanello, come d’abitudine. Nell’androne quasi si scontra con un uomo che non conosce. “Buonasera”, lo saluta. Ma quello non risponde e a capo basso esce veloce. “Ho visto un tizio mai visto”, commenta a Matilde una volta dentro casa sua. Sono nel corridoio e Matilde le fa cenno di stare zitta e di avanzare. Dice a voce alta come rivolta ad uno sconosciuto: “saranno gli studenti”. La nonna la segue nel salottino un po’ buio a causa della persiana abbassata dove la televisione è sintonizzata sul canale della loro telenovela preferita. Matilde tira fuori un foglio che la nonna legge con la calma necessaria per capire che la Perez ha visto movimento di gente nuova per le case. Meglio essere prudenti nel caso abbiamo messo microfoni. Una volta che la nonna ha fatto cenno di aver capito, Matilde alza il volume della tv e le indica di spostarsi nell’altra stanza. Qui il figlio della vicina, un omone il cui volume e il carattere introverso facevano pensare ai più che combinasse poco nella vita, le saluta con un movimento della testa. Matilde fa accomodare la nonna su una sedia e tira fuori da un armadietto la cartella del centro diurno per anziani dove trascorre qualche ora per ordine della figlia. Estrae una serie di fogli dove sono incollate lettere diverse che formano un messaggio. “L’ho fatto fare a quelli con l’Alzheimer”, bisbiglia in un orecchio alla nonna, “così non si ricordano”. Poi la nonna infila un passamontagna nero, una felpa col cappuccio del figlio di Matilde che la ricopre come un vestito, infila dei guanti scuri e si dice pronta con un chinare della testa. Viene accesa una luce debole che permette di vedere solo che una figura scura sostiene dei cartelli. Quando è tutto pronto, il figlio di Matilde prende in mano la videocamera. Una volta registrato il video, la nonna si toglie di dosso tutto quanto e si fa aria con i fogli. Le due vecchiette adesso possono andare a vedere la puntata.
“Oh signora buonasera. Torna da casa di Matilde?”. È di nuovo la vicina che incontra la nonna tornando a casa. “Oh, cara! Sì, sì”. E aggiunge rivolta alla bimba appesa alla ragazza: “Mamma mia, ma che bellezza! Com’è cresciuta!”. “Eh sì, è bella grande adesso! Poverina, soffre ancora il caldo”. “Stellina… questi tempi matti… ma cambierà, cara, vedrai che cambierà”. “Avete visto la puntata?”, chiede alla nonna. “Certo, si capisce, ma solo un pezzo perché ci siamo appisolate. Hehe!”, conclude ridacchiando l’anziana signora. “Arrivederci cara”, la saluta rientrando a casa. “Arrivederci signora!”. La ragazza fa ancora qualche rampa di scale con la sua bambina nel marsupio prima di aprire la porta di casa. Mentre raggiunge il compagno in soggiorno gli dice: “è sempre così carina la signora…”. “Shhh!”, la zittisce lui: “Vieni! Guarda! Il lampionaio ha fatto un video”. Breaking news: first message of The Lamplighter. Ultima hora: el lamparero habla. Notizia d’ultima ora: il lampionaio lancia un messaggio. Milioni di spettatori in tutto il mondo vedono il video del lampionaio nascosto sotto gli abiti scuri che sfoglia piano piano dei fogli che recitano il suo messaggio. “Spegni la luce quando non serve. Se la lasci accesa per niente spendi soldi e fai male al mondo. E non è giusto!”. “Non è giusto”, pensa la ragazza tra sé e sé, “questo lo dice sempre la signora del piano terra. E se…”. Apre la bocca per terminare a voce alta quella frase. Ma ci ripensa: “ma no, non potrebbe essere”, scuote la testa con un sorriso divertito disegnato sulla bocca.
Testo di Chiara Mancinelli
Illustrazione di Daniela Calandra