La masseria delle allodole

Recensione del libro di Antonia Arslan La masseria delle allodole (Bur 2007).

Li trovarono così, nonno e nipote. Immobili in reciproca silenziosa comunione, in bilico tra passato e futuro in un presente miracolosamente dilatato: una rossa sera che non scendeva, un’epifania misteriosa. La Vergine aveva camminato sulla terra, tra i papaveri e il grano dorato, e aveva gradito il grappolo d’uva.

La masseria delle allodole di Antonia Arslan (Bur, 2007)

Ci sono libri di straordinaria bellezza anche se descrivono storie profondamente dolorose. La masseria delle allodole è uno di questi libri. Antonia Arslan ha, come Dacia Maraini, la grande capacità di rievocare mondi perduti, di soffermarsi nei dettagli (i vestiti, i gioielli, gli odori, i sapori, la vegetazione) che rendono la storia viva senza appesantirla e senza annoiare mai. Tutt’altro. In questo caso, il lettore vede apparire oltre le righe la casa chiamata “La masseria delle allodole”, appartenuta alla famiglia dell’autrice, di origine armena. Vede il roseto, i campi, i visi degli uomini e delle donne protagonisti di questa storia: armeni, greci, turchi, cristiani, musulmani e ortodossi. Impara le tradizioni, sente il sapore dei cibi cucinati con amore e ne respira gli odori. Sente il sangue raggelarsi quando un gruppo di soldati irrompe nella casa trucidando tutti i maschi della famiglia. È il 1915 ed è iniziato il genocidio armeno, uno dei primi genocidi del XX secolo. Le donne sono caricate prima sui carri e poi sono fatte marciare senza cibo, né acqua, alla mercé degli elementi e della volontà degli aguzzini. Fisicamente distrutte, ma non annientate, saranno la voce di quel mondo passato.

Sull’autrice: Antonia Arslan (Padova, 1938) ha insegnato Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova. Il suo primo romanzo è stato La masseria delle allodole, finalista al Premio Campiello da cui è stato tratto un film dei fratelli Taviani, a cui sono seguiti numerosi altri titoli, come La strada di Smirne o Il rumore delle perle di legno.

Testo e foto di Chiara Mancinelli

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